storie e storiette |
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Come nei più alti e rigorosi ambienti alpinistici dei tempi passati, dove la gerarchia la faceva padrona, sabato sera abbiamo consegnato al presidente una stampa che riporta il tracciato della nuova via aperta sullo scudo nord-est del M. Agnèr. La via è stata dedicata al gruppo per i suoi 50 anni di attività.
Gippo ci ha giustamente accolto e intrattenuto come 3 che fanno semplicemente il loro dovere, ma dalla qualità delle due bottiglie da lui aperte per l'occasione, abbiamo intuito la soddisfazione del presidente!! Qui il racconto e relazione della via DIRETTA 4 GATTI!
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Non sono ancora le 5 del mattino quando iniziamo a salire i facili tiri iniziali della via Comici-Dimai sulla cima Grande di Lavaredo.
"Porca miseria che freddo alle mani, si sta proprio bene con il secondo paio di pantaloni!" Albeggia, l'ambiente che ci circonda è surreale, soffia un leggero vento e la frontale di Marco si muove in continuazione alla ricerca di appoggi e chiodi. I tiri si fanno più impegnativi, mi blocco su un passaggio delicato, una placca di pochi metri che termina su un piccolo tetto: ma come avrà fatto a passare di qui Comici? Lo immagino indossare dei grossi scarponi di cuoio un bel maglione color pecora e la corda di canapa in vita, piena di chiodi e moschettoni pesantissimi... Uno strattone alla corda interrompe le mie perplessità e mi ricorda che non c'è tempo da perdere, tiro un vecchio cordone e passo su. Non sto rispettando le poche regole che avevamo in testa ma non c'eravamo mai detti: il primo ha il diritto di salire garantendo la giusta sicurezza e il secondo ha il dovere di essere veloce. Alle 9 in punto scattiamo alcune foto sulla croce di vetta, al sole si sta decisamente meglio, una guida di Sesto raggiunge la cima con due clienti saliti dalla via normale, chiediamo alcune info per la discesa e poi via giù. In breve raggiungiamo la forcella tra la Ovest e la Grande dove il giorno prima avevamo depositato in una grotta di guerra da bere, panini e qualche snack. "Proprio buono sto panino con la porchetta o no Diego?" "Speciale! Ci voleva proprio." Lasciamo li i vestiti di troppo e scendiamo di corsa alla base della Cima Ovest. La Cassin è una via "spaventevole", il vuoto all'inizio del traverso ti inghiotte, l'esposizione è massima ma poi ti abitui, non ci sono storie ti devi abituare, più sei veloce e prima finisce! Siamo entrambi impressionati dalla grandiosità di questa linea e dell'audacia dei due apritori, Vittorio Ratti e Riccardo Cassin nel lontano 1935. Oltre il grande traverso nonostante qualche tratto bagnato, l'arrampicata si fa più veloce e spensierata, i tiri passano veloci e in poco tempo arriviamo in cima. Qualche settimane fa ero stato per la prima volta quassù, una bandiera addobbava la croce di vetta, per fortuna ora non c'è più, le montagne non appartengono a stati, popoli o persone, sono di tutti e nessuno, si fanno conquistare ogni giorno o meglio sono loro a conquistare noi! È pomeriggio, un sacco di gente giù in basso passeggia, ammira e fotografa queste meraviglie, noi attraversiamo alto il ghiaione per raggiungere la Cima Piccola. La chiamano Piccola ma personalmente la definirei "magra", è stretta, gialla e slanciata verso il cielo! Alla base della parete mentre Marco riordina il materiale mi sdraio a terra chiudo gli occhi per qualche minuto e resto lì in pace come il telefono in ricarica. Sullo Spigolo Giallo, altro capolavoro di Comici, "non servono tante relazioni e tracciati" ci dicevano, ma se non l'hai mai fatto non ti viene proprio spontaneo ritornare sul filo dello spigolo in piena esposizione! Sull'ultima sosta mentre la luce cala, siamo circondati dalla nebbia, Marco mi guarda: "inizio a essere un po' stanco, forse questa via era di troppo!" "Dai Marco che se troviamo subito le doppie di discesa in un attimo siamo giù, ho già in mente dove andare a mangiare la pizza!" Sono le 22, in pizzeria a Misurina la cameriera ci chiede se abbiamo passato una bella giornata: "Tre Cime?" - Sorrido, passa un istante: "Sì, siamo stati in Tre Cime!" Diego
Con noi cibo acqua, materiale da bivacco, solite cose e una buona varietà di aggeggi da artificiale, convinti che quel mistico gioco del traverso e la successiva prua avesse respinto tanti grandi solo perché sprovvisti della giusta attrezzatura.
E così ci troviamo dentro quel libro magico, color giallo intenso, dove la roccia nn è delle migliori, ma l'entusiasmo ti fa volare verso l'alto e neanche te ne accorgi che già devi attraversare verso sinistra e che poi ti trovi a salire quel bordo del diedro che ti porta sulla cengia sospesa, che ci ospiterà per la notte. Posto fantastico, piccolo ma comodo, con il nostro capitano a osservarci,il grande agner, con 2/3 ore di luce per goderci il momento, mentre “fuori” piove ma li siamo al riparo; per sistemarci comodi e consumare una super cena tra chiacchiere e silenzi che parlano... E poi la strana cosa di svegliarsi a mezzanotte e sentirmi come se avessi dormito 10 ore, pronto e carico x partire.. Ma è solo mezzanotte e così fumando una sigaretta ti rendi conto di quanto sei fortunato a poterti godere quel posto anche in piena notte, illuminato dalla luna, avvolto in un silenzio totale. Nel dormiveglia arriva anche la mattina e cominciamo la seconda parte della via. Troviamo qualche problema nell'individuare la linea di salita e perdiamo più di un ora, ma poi tutto torna e la salita prosegue fino a trovarci sotto quella fessura, che in uno dei pochi racconti, il protagonista scriveva che valeva la pena fare un giro fin lì solo per percorrere quel tratto. Fessura bella ma non banale, e poi un altro tiro difficile ma colorato da quel cordino blu lasciato dall ultimo ripetitore nel 2012. Arriviamo sui camini finali, facili e piacevoli e intorno a noi il solito silenzio sembra suonare una musica che ci accompagna. Sulla cima, dove entrambi eravamo già stati, c'era un atmosfera strana, come se non sapessimo esprimerci, come se ciò che avevamo appena fatto, per noi, non era divenuto ancora realtà. Come se niente avessimo fatto, perché l'alchimista che gioca con le nostre emozioni ancora non si era messo al lavoro. Però le ali che ci avevano fatto volare verso l'alto non c'erano più perché non c'era più bisogno di averle. Perché per scendere bastano le nostre gambe, mentre per salire non basta contare solo sul proprio corpo, ma anche sulle motivazioni che lo fanno muovere! E allora giù per quella discesa infinita, stanchi, appagati e forse un po’ increduli. Accompagnati dai nostri pensieri e dalle nostre emozioni pian piano arriviamo giù nella magica valle dove tutto torna normale dopo 2 giorni vissuti in un altro mondo.... E allora grazie Diego per avermi ispirato in questa avventura, grazie Marco per il romanticismo che mettevi nelle tue salite, l'emozione nel pensare che eri stato l'ultimo a passare di lì ci ha accompagnati per tutta la salita. Grazie diedro dei bellunesi per averci fatto volare. Marco T. La cordata Stefani-Toldo porta a termine una nuova via di arrampicata, la "semplice" avventura condivisa tra le pareti della val d'Astico! Una gialla e strapiombante parete sorregge da millenni il leggendario Altar Knotto, una particolare formazione rocciosa sospesa sulla Val d’Astico, a circa 1334 m di quota e più volte oggetto di leggende. Anche Mario Rigoni Stern nel libro “L’Altopiano dei Sette Comuni” ne fa menzione definendolo un “antico sasso in bilico sul baratro”. Quale definizione migliore per descriverlo? Marco ed io avevamo da tempo puntato gli occhi verso quell’affascinante, quanto repulsiva, parete sud ovest; nelle nostre menti si stava delineando una possibilità di salita ma per una moltitudine d’impegni e difficoltà d’incastro del nostro tempo libero è stato necessario attendere lo scorso aprile prima di dar forma a questo sogno. La sveglia è suonata presto e il meteo non si è dimostrato a nostro favore. La pioggia cadeva leggera quando, ad orari antelucani, lasciavamo le nostre abitazioni. Non ci siamo persi d’animo perché la parete è strapiombante e quindi al riparo dall’acqua. Con noi zaini pesanti, molti chiodi, corde, una staffa, numerosi friends ma anche un vecchio ed ingombrante stereo pronto a tenerci compagnia, del tabacco per confezionare una sigaretta nei momenti in cui sarebbe stato necessario prendersi una piccola pausa e in fine una bottiglia di vino rosso fatto rigorosamente “in casa”. A volte ho l’impressione di essere un naufrago del secolo scorso.. Così è nata la “Diretta Supernatural”: nella totale semplicità di un’avventura condivisa con un prezioso amico. Non abbiamo ispezionato prima la parete e non ci siamo calati dall’alto per capire che difficoltà avremmo dovuto superare o con che tipo di roccia ci saremmo dovuti confrontare. Non ci piacciono gli schemi e non abbiamo paura delle rinunce. Anzi, è forse nel saper rinunciare la più grande qualità di un’alpinista. Nel primo giorno di arrampicata abbiamo salito quattro lunghezze di corda; Marco ed io ci siamo alternati nel ruolo di capocordata. A fine giornata eravamo felici perché dentro di noi iniziava a farsi avanti la certezza di una riuscita. La nostra seconda visita alla parete avvenne dopo pochi giorni. Mentre ci avvicinavamo all’attacco ci siamo resi conto di essere proprio sulla perpendicolare del grande altare. Non potevamo non provare a salirne la sommità sfidando le leggi fisiche di quel masso sospeso. L’ultima lunghezza è stata probabilmente la più affascinante. Ogni chiodo piantato era accompagnato dalla più totale incertezza. Dopo infiniti passi delicati ci siamo abbracciati sulla vetta. Intorno a noi l’ambiente pareva improvvisamente essere diverso, il sole splendeva e i vari escursionisti in visita all’Altar Knotto ci osservavano incuriositi; un leggero venticello ha trasportato la nostra gioia e il nostro sudore giù verso valle. Trascorsi giorni dalla nostra piccola impresa abbiamo deciso di ritornare per migliorare la linea di salita pulendola da alcune prese mobili ed aggiungendo ulteriori chiodi di protezione, agevolando così gli eventuali futuri ripetitori. Sabato 9 giugno infine abbiamo salito integralmente la via in arrampicata libera chiudendo così il cerchio di quest’avventura. La sera, prima di prendere sonno, ogni tanto mi chiedo: che cosa resterà dentro di me di questa salita? La risposta è semplice: amicizia e libertà. Matthias pdf relazioneEstratto dal blog di Pier Verri: Sulle Crode, alpinismo arrampicata montagna... Postiamo con piacere queste righe, spunto per riflessioni e dibattiti....cos'è l'alpinismo e qual'è il confine che lo distingue dall'arrampicata? Il 2017 è stato per me il classico anno sabbatico, in cui ho sentito veramente il peso degli anni, con un'alternanza di condizioni fisiche che non mi hanno permesso di trovare mai gli stimoli e il momento giusto per realizzare qualche sogno alpinistico rimasto nel cassetto. Al tutto poi si è aggiunta la triste notizia che alcuni “ boce” hanno aperto delle vie, usando trapano e spit, sulle montagne che più amo; le Alpi Feltrine, i Monti del Sole e il Bosconero. Una mazzata per il mio modo di vedere. Gruppi montuosi, che nonostante la modesta quota, considero a tutti gli effetti montagne con la emme maiuscola, e quindi riservate all'alpinismo vero e proprio con tutte le caratteristiche e difficoltà che questa attività acclude: dai faticosi avvicinamenti con zaini pesanti, all'incertezza per le condizioni del tempo, dalla morfologia dell'ambiente fatto di neve ghiaccio e roccia, alla varietà dei suoi percorsi con mura inaccessibili fatte di fessure, pieghe naturali, placche lisce, strapiombi, tetti etc... barriere naturali con le quali ogni alpinista deve sapersi confrontare imponendosi delle regole etiche che limitino l'uso della tecnologia e delle attrezzature moderne.
Ben si sa che l'uomo è andato sulla luna, e che già agli inizi del secolo scorso si costruivano palazzi di centinaia di metri ed esistevano perforatori a percussione in grado di forare il granito, lo sapevano anche Paul Preuss e George Winkler, e tutti i grandi alpinisti di quel epoca e di quella successiva, che erano certamente opposti per la maggioranza, a qualche mente perversa che già allora aveva costruito vie ferrate e funamboliche funivie per raggiungere cime impossibili, per la gioia del turista della domenica e delle tasche di pochi magnati. Un progresso nemico della natura che ha portato solo dopo alla consapevolezza della tutela degli ambienti dei giorni nostri mettendo un limite a dette opere. Questa breve riflessione può apparire piena di retorica, ma è strettamente collegata a piccolezze come quella di praticare l'alpinismo usando il trapano per riempire il proprio carniere, superando barando i propri limiti. E' più forte di me non riesco a tacere per quanto mi riprometta di stare zitto e di non alimentare polemiche, visto che allo stato attuale, mi sento solo a combattere contro il mondo intero per un ideale che non riesco più a rendere elastico. Spero almeno di sensibilizzare i pochi giovani che curiosano per caso nel mio blog, o di spronare qualche vecchio a tenere duro per non farsi ammaliare dai grandi numeri senza rischi proposti da questi itinerari definiti moderni. L'alpinismo deve distinguersi dall'arrampicata sportiva, e come essa porsi delle regole, ci sta' a pennello il non trapanare la roccia come il non usare le bombole di ossigeno in quota, il non lasciare spit fissi, come il non costruire campi intermedi fissi in quota (qualcuno ci ha già pensato seriamente). Credo che sulle dolomiti l'evoluzione delle vie “trad”, dell'alpinismo pulito, sia stata frenata dall'essere andati molto avanti con il grado di difficoltà nell'arrampicata sportiva praticata in falesia e sui massi, si è voluto poi riproporre le stesse situazioni in montagna, dando l'illusione ai numerosi ripetitori di praticare alpinismo estremo. In realtà si tratta di una scorciatoia messa in atto da chi non ha voluto accettare i propri limiti, proponendo un'evoluzione basata su un esagerato innalzamento della difficoltà, che ha saltato un percorso intermedio, sminuendo gli itinerari classici e il più recente periodo storico di un' intera generazione che si è affannata nella ricerca dell'arrampicata libera, dove la difficoltà non era solo un gesto atletico, bensì la capacità mentale di muoversi solo con le protezioni concesse dalla morfologia della roccia. Stile improntato su di un etica rigida che ha portato all'apertura “on sight “ di vie con difficoltà poco oltre il VII e ben lontana dai grandi numeri proposti dai moderni trapanatori. Sono vie rimaste nell'oblio ripetute raramente solo da pochi preparati e che meriterebbero tutte le attenzioni della cronaca. Volendo poi, per chi si lamenta che non c'è più niente da fare, di queste vie mancherebbero le prime invernali, le prime solitarie, e comunque con un po' di fantasia e creatività ci sono ancora numerose vie stradure da aprire, chiaramente su queste il pericolo non manca, ma proprio non me lo vedo l'alpinismo senza rischio. Sui trapanatori quello che mi lascia perplesso è la confusione di pensiero, con tutte quelle etiche e sotto etiche che si stanno sviluppando formando diverse schiere: da quelli che si definisco esclusivamente arrampicatori sportivi, e forse sono quelli più coerenti, che attrezzano da cima a fondo e gradano bello lasco per attirare intere masse. A quelli un po' confusi, con più cultura alpinistica, liberisti puri, che aprono la via in stile classico, ma che poi sulla placca si dicono è impossibile passare, e dopo aver armeggiato in artificiale con clif e micro chiodi, concludono con il trapano, giustificando il proprio senso di colpa asserendo di aver usato solo due spit in tutta la via. Altra categoria, ed è quella che mi fa più paura, è quella di chi, dichiarandosi altruista, si preoccupa che alcuni gruppi montuosi siano poco frequentati, ed invece di andare a ripetere le vie già esistenti in prima persona, pensa bene di aprirne di nuove, attrezzando con gli spit, guarda caso solo il tiro che devono tornare a provare in libera... Non me ne voglia nessuno per queste affermazioni, le mie critiche sono sterili, come già detto sono solo un vecchio ago nel pagliaio, ma credo più che fermamente che la montagna meriterebbe più rispetto e che all'alpinismo, con tutto il suo bagaglio storico, vada concessa una semplice regola come quella della “lealtà” di non trapanare la roccia. Per chi ha voglia di spittare ci sono innumerevoli falesie alte anche fino a 300 metri, nelle quali è possibile sviluppare l'arrampicata sportiva a più tiri, e comunque ce ne sono già molte e la maggioranza son poco ripetute. Concludo: sarebbe veramente bello lasciare stare la montagna e il terreno per lo sviluppo dell'alpinismo dell'arrampicata trad e dell' avventura....perciò Buon 2018.....senza spit!!! E' stata una serata speciale, ringraziamo i numerosissmi partecipanti per aver condiviso con noi storie ed avventure!
I 4 gatti DIEGO DELLAI racconta la sua esperienza al BMC International Trad Summer Climbing Meet 2017 L'inghilterra mi ha accolto proprio come me la immaginavo: un forte contrasto tra il verde di prati dove pascolano pecore e l'umido grigio di una giornata uggiosa! Dopo tre ore di pullman arrivo a Princetown dove incontro Peter, un simpatico omone conosciuto su internet che si è offerto di ospitarmi per alcuni giorni, giusto il tempo per prendere un po' di dimestichezza con l'inglese prima dell'inizio del meeting. Princetown è un piccolo villaggio al centro del Dartmoor National Park, un'immensa distesa di dolci colline pascolate allo stato brado da pecore e cavalli, dove affiorano delle carratteristiche stratificazioni rocciose. Sabato pomeriggio saluto Peter e salgo in treno per raggiungere Penzance, città di mare nel sud della Cornovaglia e punto di ritrovo dove iniziera la mia avventura. All'interno della stazione, in una piccola sala d'attesa alcuni ragazzi sono li che aspettano, sono incerto, ma dopo alcuni istanti di esitazione, vedendo spuntare dallo zaino di uno di loro una corda da arrampicata, capisco subito di essere arrivato nel posto giusto! Faccio conoscenza con Miha dalla Slovenia, Vasileios dalla Grecia e Mariana dal Portogallo. Sembra di partecipare a un qualche programmi televisivo, ogni tanto la porta scorrevole si apre e... voilà, arriva un nuovo ospite a rappresentare il proprio paese. In tutto saremo circa 30 climber giunti a rappresentare 25 nazioni europee ma non solo, c'è chi arriva dal Sudafrica, dal Giappone e dalla Nuova Zelanda. Per una settimana alloggeremo al Count House, una specie di rifugio dalle facciate in pietra grigia e le finestre quadrettate bianche, situato su un promontorio di prati, muretti e fattorie con vista sull'oceano. La sera stessa, durante il buffet di accoglienza, Becky la resposabile dell'organizzazione e il pressidente del BMC (british mountain council) Steve Scott, ci espogono il programma del meeting e consegnano a tutti la guida di arrampicata augurandoci di passare una bella settimana ed arrivare a domenica tutti sani e interi! Arrampicheremo affiancati ad un Host (accompagnatore e socio di cordata membro del BMC) che cambierà ogni due giorni, e con il quale pianificheremo le giornate, tra pareti e scogliere. Domenica il meteo è ottimo e la voglia di mettere le mani sulla roccia è tanta; tutti assieme facciamo un'abbondante colazione all'interno di un tendone allestito sul prato del rifugio. Oggi ho l'onore di arrampicare proprio con il presidente del BMC Steve e assieme decidiamo di andare ad arrampicare nella vicina falesia di Bosigran, una parete di ottimo granito con multipich fino a 90m e una splendida vista sull'oceano. Quando arriva il momento di attaccare all'imbrago il mio piccolo mazzetto di dadi e la serie di friend, lo sguardo di Steve mi fa intuire che qualcosa non quadra....non capisco bene la sua spiegazione così poi usando parole semplici mi dice che i friend vanno bene ma che con quella scelta di dadi non vado da nessuna parte, a questo punto apre lo zaino e mi dice:" These are better!" impugnando un mazzo enorme di dadi raggruppati per misure. Nei primi tiri facili stracarico di materiale, mi sento un po' impacciato e sinceramente anche ridicolo ma verso sera quando mi ritrovo ad affrontare una placca di E2 dove per proteggersi all' interno di una fessura svasa e superficiale, i friend sono completamente inefficaci, la mia opinione cambia e sono felice e rilassato di avere con me 6 piccoli dadi della stessa misura! Lunedì mattina il morale è basso, la finestra della camerata è bagnata da una leggera piogerellina mista a vento; c'è chi va a visitare i paesi vicini e chi si mette a leggere un libro. Io mi aggrego a Stephen da Malta e il suo host Scott Titt (per me "the oldfox"), un omone dai capelli bianchi, occhiali spessi e un sorriso carico di entusiasmo. In auto ci dirigiamo a Sennon, un piccolo paesino di mare affiancato da una bella scogliera. La frase del giorno sarà "the rock is very wett", la roccia è molto umida e scivolosa ma nonostante ciò saliamo alcune linee in top rope, l'ambiente è per me nuovo, grandioso e inusuale. Ogni sera dopo cena c'è sempre in programma qualche attività o intrattenimento, dalla festicciola con musica tradizionale dal vivo alle presentazioni fotografiche e storie di arrampicate e alpinisti. In una di queste serate mi ritrovo protagonista proiettando delle foto per raccontare del mio piccolo paese Tonezza, le sue montagne e le Dolomiti ad un pubblico internazionale che a fine presentazione con un po' di invidia, a sguardi e parole mi fa capire quanto sono fortunato a vivere in un posto così! E' proprio vero, quando ci si diverte le giornate scorrono veloci e in un attimo arriva giovedì. Oggi mi ritrovo a scalare con Masa Sakano, un simpatico giapponese che da alcuni anni vive in Inghilterra per motivi di lavoro. L'obbiettivo del giorno è di salire Dream Liberator, la combinazione di due vie che stando al parere di alcuni ripetitori è una delle linee più belle ed affascinanti della zona. Bisogna però tenere conto di alcuni aspetti e saper aspettare..... aspettare che la marea si abbassi per non rischiare di essere travolti dalla potenza dell'oceano ed aspettare l'arrivo del sole che asciuga la parete e migliora di molto la tenuta delle scarpette. Fatti un po' di calcoli, decidiamo di passare la mattinata sulla vicina parete di Bosigran per sfruttare al meglio la giornata ma soprattutto per poter conoscere il mio socio e prendere confidenza in parete. Saliamo due bellissimi itinerari di E2 e nel tardo pomeriggio, dopo esserci rifocillati al Count House, ci incamminiamo verso il nostro obbiettivo. Per scendere alla base della scogliera ci caliamo con una corda statica per 50m e poi continuiamo a scendere lungo un profondo canalone prima molto friabile, poi tra grossi massi incastrati sotto i quali gorgheggia l'oceano. Facciamo fatica a comunicare sovrastati dal rumore delle onde. Il primo tiro fa impressione: un traverso in placca su roccia viscida e ti ritrovi con l'oceano furioso a 4-5 metri sotto il sedere, si continua poi in verticale per raggiungere un piccolo diedro ed uscire dalla zona d'ombra. Mi guardo un po' attorno facendo finta di niente e poi inizio a filare le corde con la speranza che Masa si leghi e decida di partire....per fortuna va proprio così! Con estrema cautela risolve tutti i passaggi scivolosi e giunto al sole crea una sosta utilizzando tre dadi ed un friend. Il tiro successivo che è anche il più difficile spetta a me. Ci passiamo il materiale, sull'imbragatura di Masa c'è una montagna di materiale, tra dadi, cordini, moschettoni e friend c'è pure la guida di arrampicata all'interno di una custodia! Rileggiamo alcune volte la relazione per non fare errori e seguire la giusta linea. Parto sicuro, piazzo un buon friend e rinvio la corda blu mentre nelle protezioni di destra passo la rossa. Dopo 10m mi ritrovo sotto un tetto irregolare di un metro, incerto sul da farsi....passo a sinistra o dritto? Dopo alcuni tentativi decido di provare a sinistra, ho un buon friend a 3m sulla corda rossa e un cordino su un piccolissimo spuntone sulla blu. Inizio a salire e porto le mani oltre al tetto convinto di trovare delle buone maniglie ma niente "saranno più sù" penso. Esco dal tetto con tutto il busto ma per le mani ho solo una piccola fessura svasa, in quella posizione il peso del materiale sull'imbrago è enorme. Provo a mollare una mano per incastrare un dado ma non riesco, le forze stanno calando velocemente.....il cervello pensa già avanti, vedo l'ottimo friend a 4 metri in diagonale e grido al mio socio "I can fall!" Provo ancora una volta a prendere la mazzetta dei dadi ma appena stacco la mano capisco che siamo agli sgoccioli, guardo per un brevissimo istante Masa e dopo un secondo mi ritrovo otto metri più in basso a dondolare sul vuoto oltre lo spigolo! Ottimo, il friend ha lavorato benissimo però ora meglio inventare qualcosa per finire il tiro! Traverso in placca a destra fino a raggiungere un vecchio dado incastrato, la sosta dovrebbe essere 7/8 metri sopra la mia testa. Una microscopica fessura sotto un tettino diagonale mi fa ritornare la speranza e così rispolvero un po' di tecnica artificiale incastrando un micro dado, poi con alcuni passaggi su cliff alternati a micro friend, raggiungo il punto di sosta dove piazzo due ottimi friend e finalmente urlo al mio compagno "Belay, i'm safe!" Quando Masa mi raggiunge il sole sta già tramontando dentro l'oceano, il paesaggio è spettacolare, è tardi ma poco ci importa, saliamo l'ultimo tiro senza trovare problemi e in breve raggiungiamo i prati sommitali. Con le ultime luci ma senza fretta ci incamminiamo verso il nostro rifugio, mi metto a cantare una canzone a squarciagola tanto ad ascoltarmi ci sono solo prati, cespugli, mucche e Masa che non capisce il significato ma sembra divertito. In questa settimana ho potuto capire il vero significato della parola TRAD che poco ha a che fare con l'idea che mi ero fatto. Cercare di comparare le scale di difficoltà è complicato e forse, secondo me, anche inutile, perchè per l'etica Trad inglese conta di più superare una linea difficilmente proteggibile e le difficoltà tecniche passano in secondo piano anche se spesso per le caratteristiche della roccia, questi parametri vanno di pari passo. Anche la realizzazione delle soste direttamente con le corde di salita è un modo efficace per adattarsi alla morfologia delle scogliere e al vento che spesso obbliga a spostarsi sul bordo della parete per poter comunicare e assicurare in modo ottimale il secondo di cordata. Si potrebbe andare avanti per ore a discutere di sicurezza, protezioni, gradi ed etica ma forse lo scopo del meeting non era solo questo; in questa settimana ho potuto conoscere persone più o meno forti ma tutti uniti dalla voglia di riempire le proprie giornate arrampicando nel rispetto degli altri e dell'ambiente. Ciò che più mi resterà impresso è la grandiosità dell'oceano che segna l'orizzonte, la forza selvaggio delle onde mentre si infrangono sugli scogli, il volo leggero e libero dei gabbiani che vanno e vengono dai nidi in cerca di cibo, il vento della sera con la luce calda e nitida del tramonto. Un grazie particolare va al CAAI che ha creduto in me dandomi la possibilità di partecipare a questo splendido meeting. Grazie al mio datore di lavoro nonchè fratello Samuele che ancora una volta mi ha lasciato libertà per seguire le mie passioni. Un grazie va al negozio Valli Sport per la collaborazione e il sostegno! D.D. Con il consueto ed auspicato meteo Patagonico si è svolta, in tutti i suoi riti, la Festa dei 4 Gatti.... abbiamo scalato festeggiato e ci siamo scaldati col vostro affetto... grazie a tutti i nostri splendidi amici. Flavio Menegozzo e Gaetano Ruaro si aggiungono al nostro fantastico gruppo. Complimenti! !!! ...se passate in falesia 4gati e trovate ancora qualcuno che dorme è uno di noi....non svegliatelo. Grazie
Con grande piacere annunciamo che il nostro amico e membro del "gruppo roccia 4 Gatti" Ivo Maistrello, è stato ufficialmente nominato Accademico del CAI.
Che notizia fantastica! Però non ci sorprende, ci lascia felici ma non sorprende. Non ci sorprende perchè conosciamo bene le qualità alpinistiche e umane di Ivo; non ci sorprende perchè abbiamo constatato con infinite discussioni la tua etica ferrea; non ci sorprende perchè conoscendoti da vicino possiamo affermare che in montagna e non solo, sai cosa è giusto fare ma soprattutto dire! Questo grande riconoscimento ci rende orgogliosi, Complimenti e Grazie Ivo! |
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Agosto 2019
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